Benessere di coppia: riconoscere gli schemi disfunzionali
Nelle relazioni di coppia, soprattutto col passare degli anni, possono emergere degli schemi comportamentali disfunzionali che vanno a compromettere l’armonia e la connessione emotiva. Questo significa che c’è il rischio di ritrovarsi in dei circoli di risentimento, dove i partner accumulano frustrazione e rancore senza riuscire a esprimere i propri bisogni in modo chiaro. Le piccole questioni quotidiane si trasformano in litigi sempre più accesi e frequenti, alimentando rancori profondi che mettono a dura prova il legame. In questo articolo esamineremo alcuni fra i più comuni schemi psicologici disfunzionali di coppia, offrendo consigli pratici per affrontarli e superarli attraverso lo sviluppo di una maggiore consapevolezza.
Il Triangolo Drammatico
Questo modello descrive tre ruoli principali che le persone assumono nelle relazioni conflittuali: la Vittima, il Persecutore e il Salvatore, i quali si alternano tra i partner, creando un ciclo tossico.
La Vittima si sente impotente, oppressa e spesso esprime frasi come: "Mi fai sentire come se sbagliassi sempre!", "Non mi capisci!", "Quello che faccio per te non ti basta mai!". Si presenta come se fosse priva di potere e attribuisce agli altri la causa di tutti i propri problemi e la forza di questo ruolo sta nel fare leva sulla compassione da parte degli altri, inoltre, la Vittima raramente adotta un approccio proattivo, preferendo lamentarsi o aspettare che qualcun altro le risolva i problemi.
Il Persecutore tende a sminuire gli altri con critiche e accuse, utilizzando un linguaggio colpevolizzante come "Sei sempre tu il problema!" o "Fai tutto sbagliato!", dominando la relazione con autoritarismo e imponendo le proprie regole senza considerare i bisogni altrui. Attribuisce all'altro la responsabilità di ogni problema, creando tensione e paura, spesso motivato da insicurezze profonde o un bisogno di controllo. Questo comportamento trasforma la relazione in un campo di battaglia, distruggendo la comunicazione sana e il rispetto reciproco.
Il Salvatore cerca di aggiustare l’altro, assumendosi la responsabilità di risolvere i problemi del partner. Frasi tipiche del Salvatore includono: "Ti aiuterò a cambiare, vedrai che andrà meglio!", "Fidati di me, so cosa è meglio per te!", "Se solo mi ascoltassi, tutto sarebbe più semplice!". Crede di agire per il bene dell’altro, ma in realtà spesso favorisce lo sviluppo di dipendenza e di passività verso il partner. Questo ruolo può sembrare nobile, ma nasconde un bisogno di controllo e una mancanza di fiducia nelle capacità dell’altro di gestire la propria vita.
Alternanza dei ruoli: tra gli aspetti più insidiosi del Triangolo Drammatico vi è il fatto che i ruoli non sono fissi e i partner possono passare dall’uno all’altro, creando una dinamica caotica e imprevedibile. Ad esempio: la Vittima può trasformarsi in Persecutore quando si sente troppo oppressa e decide di contrattaccare. Il Salvatore può diventare Persecutore quando si rende conto che i suoi sforzi non stanno funzionando e inizia a incolpare l’altro. Il Persecutore può assumere il ruolo di Vittima quando si sente incompreso o attaccato a sua volta.
Il Triangolo Drammatico è tossico perché alimenta il conflitto: invece di risolvere i problemi, i partner si concentrano su chi ha torto o ragione, bloccando così la crescita personale. I ruoli di Vittima, Persecutore e Salvatore intrappolano le persone in dinamiche disfunzionali, senza lasciare spazio all’autocritica o al cambiamento. Inoltre, creano dipendenza emotiva: i partner si identificano con i ruoli che interpretano, perdendo autonomia e identità. Per spezzare questo ciclo, è essenziale prendere consapevolezza dei ruoli, assumersi le proprie responsabilità invece di incolpare l’altro e comunicare in modo sano, esprimendo i propri bisogni senza accuse o manipolazioni. Lavorare sull’autostima è altrettanto importante, poiché questi ruoli spesso derivano da insicurezze profonde: rafforzare la fiducia in se stessi aiuta a evitare di ricadere in dinamiche relazionali disfunzionali.
Il ciclo della svalutazione e dell’idealizzazione
Questo schema, spesso legato a dinamiche narcisistiche o relazioni disfunzionali, descrive come i partner possano passare da un’estrema ammirazione a una profonda delusione, creando un’altalena emotiva che mina la stabilità della relazione.
Fase 1: L’idealizzazione: nella fase iniziale, il partner viene visto come perfetto, lo si idealizza, attribuendogli qualità eccezionali e vedendolo come la soluzione a tutti i propri bisogni emotivi. Frasi come "Sei tutto ciò che desideravo!" o "Non ho mai conosciuto nessuno come te!" sono tipiche di questa fase. L’idealizzazione è spesso alimentata dalla proiezione di bisogni inconsci, come il desiderio di essere salvati, amati incondizionatamente o completati da qualcun altro.
Fase 2: La svalutazione: con il tempo, però, l’immagine idealizzata inizia a incrinarsi, i difetti del partner, prima ignorati o minimizzati, diventano sempre più evidenti. La persona che un tempo era vista come perfetta viene ora descritta come inadeguata, deludente o addirittura dannosa. Frasi come "Non sei più la persona di prima" o "Sei una delusione!" diventano comuni. Questa fase è spesso accompagnata da sentimenti di rabbia, risentimento e frustrazione.
Fase 3: La ripetizione del ciclo: il ciclo non si conclude con la svalutazione. In molte relazioni disfunzionali, i partner tornano alla fase di idealizzazione, magari dopo una riconciliazione o un momento di particolare affetto. Questo crea degli sbalzi emotivi in cui i periodi di passione e ammirazione si alternano a fasi di delusione e critica. Questo schema può ripetersi più volte, rendendo la relazione instabile e stressante.
Il ciclo di idealizzazione e svalutazione nelle relazioni disfunzionali, spesso legato a dinamiche narcisistiche, nasce da proiezioni inconsce e bisogni personali non risolti. Il partner viene idealizzato come soluzione a vuoti interiori, ma quando non soddisfa aspettative irrealistiche, subentra la svalutazione, accompagnata da rabbia, delusione e frustrazione. La carenza di autostima spinge a cercare validazione esterna, mentre la routine e l’emergere dei difetti amplificano il conflitto, specialmente in contesti narcisistici, dove l’incapacità di tollerare l’imperfezione porta al distacco emotivo. Per spezzare questo ciclo, è essenziale lavorare su consapevolezza e autostima, distinguendo tra bisogni personali e aspettative verso il partner. Accettare l’imperfezione propria e altrui, comunicare in modo aperto e costruttivo, e affrontare le proprie insicurezze sono passaggi cruciali per costruire relazioni sane e stabili, libere da dinamiche tossiche.
Il rapporto genitore-figlio nelle relazioni di coppia
Questo schema, studiato nell’ambito dell’Analisi Transazionale sviluppata da Eric Berne, descrive come uno dei partner possa assumere un ruolo di genitore, mentre l’altro si comporta come un figlio. Questa dinamica, se non riconosciuta e affrontata, può portare a frustrazione, squilibrio e perdita di attrazione reciproca.
Il ruolo del genitore: il partner che assume il ruolo di genitore tende a essere controllante, critico o iperprotettivo e lo fa con continue osservazioni, rimproveri e tentativi di correggere il comportamento dell’altro, oppure, con eccessive preoccupazioni, assumendosi responsabilità che non gli competono. Frasi tipiche del genitore includono: "Lo faccio io, tanto non sei capace!", "Perché non fai mai le cose come si deve?", "Non preoccuparti, ci penso io a tutto!". È un atteggiamento che può inizialmente essere percepito come premuroso, ma col tempo diventa opprimente e limitante per l’altro partner.
Il ruolo del figlio: il partner che assume il ruolo di figlio tende a essere passivo, irresponsabile o ribelle. Questo ruolo può manifestarsi in modi diversi: il figlio passivo evita di prendere decisioni o di assumersi responsabilità, affidandosi completamente all’altro, mentre il figlio ribelle: reagisce alle critiche o al controllo con atteggiamenti di sfida o rifiuto. Frasi tipiche del "figlio" includono: "Fai tu, tanto sei più capace!", "Non mi importa, decidi tu!", "Smettila di controllarmi, non sono un adolescente!". Questo atteggiamento può inizialmente sembrare innocuo, ma col tempo porta a una mancanza di equilibrio nella relazione.
Si tratta di una dinamica problematica perché crea uno squilibrio di potere: un partner si sente caricato di responsabilità, mentre l’altro sminuito o oppresso. Alimenta la frustrazione, poiché il genitore può sentirsi esausto dal dover sempre decidere, e il figlio può sentirsi soffocato o incompreso. Inoltre, riduce l’attrazione reciproca, trasformando la relazione in un legame asimmetrico che non soddisfa i bisogni emotivi di entrambi. Per uscirne è essenziale riconoscere i ruoli assunti e comprendere il loro impatto sulla relazione. Occorre ristabilire l’equilibrio, creando una connessione paritaria in cui entrambi si assumono responsabilità e si supportano a vicenda. La comunicazione adulta, basata sul rispetto e sulla condivisione, è fondamentale, così come lavorare sull’autonomia emotiva, coltivando l’indipendenza e l’autostima per evitare dipendenze, solo così è possibile trasformare la relazione in un legame sano e soddisfacente.
Bibliografia
- Berne, E. (1964). Games people play: The psychology of human relationships. New York: Grove Press.
- Harris, T. A. (1967). I'm OK – You're OK. New York: Harper & Row.
- James, M., & Jongeward, D. (1971). Born to win: Transactional analysis with Gestalt experiments. Reading, MA: Addison-Wesley.
- Miller, A. (1997). The drama of the gifted child: The search for the true self (Revised ed.). New York: Basic Books.
- Simon, G. K. (2010). In sheep's clothing: Understanding and dealing with manipulative people. Little Rock, AR: Parkhurst Brothers.